Gli studi sulla terapia della bambola come cura per la demenza e l’Alzheimer si ispirano alla teoria dell’attaccamento formulata negli anni ’60 dallo psicologo John Bowlby.
Bowlby si occupava di psicologia infantile e aveva teorizzato che la ricerca di costante contatto reciproco da parte del bambino e del genitore fosse la conseguenza di un istinto primordiale.
Questo desiderio, tendente ad evolversi in una forma di accadimento dell’altro, può anche avvalersi di un oggetto transizionale grazie al quale l’interazione con gli altri può essere intensificata. Da questa teoria prendono avvio tutti gli studi inerenti alla terapia della bambola.
In Italia è il Dott. Ivo Cilesi il responsabile della diffusione e della sperimentazione della terapia della bambola.
My care riprendendo le file degli studi, grazie alla sua equipe multidisciplinare, offre un concreto supporto alle persone con demenza e Alzheimer, attraverso una consulenza in grado di stabilire dove necessario la Doll Therapy e di scegliere l’ausilio “bambola” adeguata rispetto all’avanzamento / stato della malattia, in modo da permettere all‘anziano di utilizzare la bambola come oggetto simbolico per creare una relazione con altri soggetti e riuscire a riversare parte del naturale desiderio di accudimento e scambio affettivo sul giocattolo che diviene un essere vivente dotato di esigenze concrete, ma soprattutto emotive.
Uno dei primi benefici che si possono trarre dalla della terapia della bambola è una riduzione degli accessi di ira e degli stati d’ansia. Concentrare l’attenzione sulla bambola e avere nei suoi confronti degli atteggiamenti di dolcezza e affetto sono fattori che aiutano l’anziano malato a rilassarsi e hanno ripercussioni positive anche sull’alternanza sonno-veglia, limitando l’insonnia.
Il semplice gesto di cullare il bambolotto cantandogli una ninna nanna può riportare alla mente emozioni e sensazioni legate a un momento felice della sua vita.
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